Sex Work
Chi svolge una professione legata al sesso è da sempre oggetto di stigma e riprovazione.
Lo dimostrano gli innumerevoli epiteti esistenti in italiano, tutti rigorosamente usati come insulti e gli altrettanti termini eufemistici che, guarda caso, funzionano solo col genere femminile.
“Prostituta, puttana, meretrice, lucciola, peripatetica, zoccola. I termini impiegati nel corso della storia per descrivere il lavoro sessuale e le persone, soprattutto donne, che lo esercitano sono molteplici ed esprimono un giudizio morale preciso. Sul finire degli anni ‘70 nacque un nuovo termine che rivoluzionò sia linguisticamente che culturalmente i discorsi sulle prostituzioni: sex work.” (G.Zollino, Sex Work is work, Torino, Eris, 2020, p. 7)
Con l’espressione sex work si intende quindi il lavoro sessuale, cioè tutto l’insieme delle attività professionali legate al sesso.
Lə sex worker pertanto sono tutte quelle persone che offrono prestazioni sessuali in cambio di un compenso.
Si tratta di un termine ombrello, perché esistono tanti tipi di sex work: c’è chi lavora nel campo del porno, c’è chi fa lə prostitutə, ci sono le cam-girl e i cam-boy, c’è insomma tutto un mondo variegato e multiforme di lavoratorə del sesso.
Alcune persone considerano il sex work come strettamente legato allo sfruttamento e alla tratta. È innegabile che lo sfruttamento esista, ma è altrettanto vero che questo può riguardare tutti i settori lavorativi, non solo quello sessuale. Quest’ultimo ne è colpito anche per la mancanza di regolamentazione, che sarebbe necessaria per garantire aə lavoratorə tutele e diritti. Tuttavia, il sex work può essere anche uno strumento di autodeterminazione ed empowerment, come racconta Giulia Zollino nel suo libro, oppure, semplicemente, un lavoro che si fa per vivere, proprio come si fa con qualunque altro mestiere. Il lavoro sessuale è dunque un lavoro e va riconosciuto come tale.